Italiane studiano più dei maschi, ma restano penalizzate nel lavoro
Le donne nel campo della formazione se la cavano meglio dei loro colleghi di sesso maschile, lo dichiara il rapporto sul profilo dei diplomati nell’anno 2016 reso pubblico da AlmaLaurea a inizio marzo.
Il 91% delle femmine non fa ripetenze durante la propria carriera scolastica, percentuale del 6% ottimale rispetto a quella stimata per il sesso maschile. Inoltre il 39% dedica 15 ore settimanali allo studio, percentuale che per i maschi scende al 16%. D’altro canto il 75% delle donne dichiarano di essere maggiormente interessate e spinte da forti motivazioni culturali a proseguire gli studi.
Per quanto riguarda la carriera universitaria, si stima che il 48% delle donne si laurea in corso e che ottengano un voto oltre al 100. Indice più che favorevole se si tiene conto del fatto che il 20% di esse proviene da una situazione socio-economica famigliare meno favorevole rispetto a quella dei coetanei di sesso maschile.
Ma seppur veloci, preparate e con le idee chiare, le donne sembrano essere penalizzate sul mercato del lavoro. Andando a considerare il rapporto sulla condizione occupazionale dei laureati del 2016, si evidenziano forti differenze di genere. Queste ultime dipendono in gran parte dalla scelta occupazionale delle donne stesse: esse infatti tendono per lo più ad inserirsi nel mondo dell’occupazione pubblica e dell’insegnamento, attualmente in crisi nel garantire un’occupazione fissa contrattuale.
Ma differenze di genere si riconfermano anche dal punto di vista retributivo: in media, conseguita la laurea, un uomo per il 56% dei casi trova un’occupazione ad alta specializzazione e guadagna minimo 200 euro netti mensili in più rispetto allo stipendio medio delle donne.
Senza contare che tra le laureate stesse, chi ha figli risulta ancor più penalizzata: infatti solo il 60% delle donne con prole post lauream riesce a trovare occupazione.
Siamo sicuri che si possa ancora parlare di uguaglianza di genere?





