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Magazine del Laboratorio di Comunicazione Giornalistica di Milano Bicocca. Dir. Res. Marco Mozzoni. Reg. Trib. Milano n.130 del 11/04/2017

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Se non dormi sei meno empatico

Sulla rivista scientifica “Neurobiology of sleep and Circadian rhythms” è stato recentemente pubblicato uno studio che mostra una correlazione tra le poche ore di sonno dormite e la capacità successiva di riconoscere ed interpretare gli stati umorali di felicità o tristezza altrui. Tutto ciò però non riguarda il riconoscimento delle altre emozioni, le cosiddette “primitive”, dato che queste sono profondamente adattive e radicate in noi, come dice il ricercatore D.S. Killgore, professore di Psichiatria, Psicologia e imaging medicale. Quando siamo più stanchi tenderemmo a salvaguardare le emozioni che possono avere utilità a breve termine, che sono più utili per la nostra immediata “sopravvivenza”, gli altri stati d’animo, meno primari per questi scopi, sono quindi, in questi casi, messi da parte almeno momentaneamente.

Sono i risultati di uno studio condotto su 54 persone, a cui sono state mostrate varie foto di una faccia maschile che esprimeva espressioni con un diverso grado di disgusto, tristezza, felicità, rabbia, sorpresa, paura: ad essi veniva chiesto quale di queste emozioni venisse mostrata nella maggior parte dei casi. Per testare la capacità dei partecipanti di riconoscere anche le emozioni “secondarie” e “discrete”, le immagini presentate erano un mix di espressioni facciali piuttosto confuse messe insieme da un programma. In pratica la stessa espressione poteva mostrare (in percentuali diverse) più di una emozione. Le risposte dei partecipanti in condizione normale sono state successivamente comparate con le loro risposte nella condizione “mancanza di sonno”: nelle facce che esprimevano, ad esempio, 90% felicità, quindi con una netta evidenza di quello stato, in entrambe le condizioni i partecipanti riuscivano ad identificare la stessa, ma è nel caso in cui una di queste emozioni non primarie veniva mostrata, ad esempio, nel 20% che i partecipanti “stanchi” avevano difficoltà a riconoscere, mentre le emozioni base venivano sempre riconosciute, qualunque fosse la percentuale con la quale erano espresse. Testando poi le stesse persone, dopo averle lasciate dormire una notte, sullo stesso compito, la loro capacità di riconoscimento di felicità e tristezza aumentava.

Killgore sottolinea il fatto che nella nostra società dormiamo, in media, meno delle sette ore (minime) necessarie per potersi definire riposati e come questo possa oggettivamente interferire nelle interazioni sociali e nelle relazioni quotidiane, impedendoci di entrare in empatia con gli altri come dovremmo e potremmo.

Fonte: University of Arizona. “Sleep deprivation impairs ability to interpret facial expressions.”

https://uanews.arizona.edu/story/sleep-deprivation-impairs-ability-interpret-facial-expressions 

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