Che si tratti di chiacchiere da Bar, o di contributi di autorevolezza giornalistica, è impossibile non sentir parlare mai di “sfortuna” quando commentiamo le notizie sportive della settimana, i risultati dell’ultima giornata di campionato, le prestazioni della nostra squadra.
E sebbene sia nella natura umana far ricadere la colpevolezza di molti dei nostri errori, appunto, sulla “Dea non bendata”, è necessario ora più che mai cominciare ad educare ed educarci alla cultura della responsabilità.
Perché se da un lato per il cosiddetto “tifoso medio” l’esito del weekend sportivo è frutto di coincidenze astrali, complotti, coincidenze e segni mistici, ci sono altri episodi che nel 2017 non possono essere più considerati come frutto di forze sovrannaturali o del destino.
Nella giornata di domenica scorsa, il talento italiano Giuseppe Rossi ha sofferto nuovamente di un gravissimo infortunio al legamento crociato anteriore del ginocchio destro: spesso e volentieri, chi già si trova a dover seguire un percorso di riabilitazione a seguito di un trauma simile non riesce più a ritornare ai suoi livelli. Un infortunio del genere non solo debilita e logora dal punto di vista fisico, ma anche e soprattutto dal punto di vista psicologico.
Pensate che questo ragazzo, classe ’87, si ritrova per la quinta volta a dover combattere con questo demone che ormai lo perseguita da 7 anni e che gli ha impedito di dare continuità e stabilità ad un potenziale e ad una carriera che potevano portarlo a diventare uno dei perni e giocatori più rappresentativi del panorama italiano e mondiale. Ora invece, questo ragazzo nativo del New Jersey, non solo vede nuovamente compromesso in via definitiva il suo percorso professionale, ma probabilmente anche la sua vita.
Nel corso degli ultimi 7 anni, Giuseppe Rossi si è trovato in sala operatoria per altrettante volte, subendo interventi piuttosto invasivi e importanti su tutta l’area dei legamenti di entrambe le ginocchia: questa serie di operazioni, alternate ad un cospicuo lavoro fisico di riabilitazione in campo, hanno sollecitato in una misura disumana il fisico di questo ragazzo, che se dovesse prendere la decisione di proseguire ancora una volta la sua carriera, potrebbe compromettere tutto il resto della sua vita.
Non è un’esagerazione, anche se può sembrarlo: basti pensare che un altro grande campione come Gabriel Batistuta, che ha sofferto la metà degli infortuni che “Pepito” (Giuseppe è stato così affettuosamente soprannominato), poco tempo dopo il suo ritiro soffrì di dolori talmente lancinanti da chiedere al proprio medico di rimuovergli gli arti inferiori e sostituirli con delle protesi simili a quelle utilizzate dall’ex atleta Oscar Pistorius. La storia dell’atleta argentino, fortunatamente, si è conclusa nel migliore dei modi: ma purtroppo, non potrebbe essere altrettanto per Pepito Rossi.
O meglio, siamo noi che abbiamo i mezzi per fare in modo che questo calvario si concluda definitivamente, e aiutare questo ragazzo perché possa condurre una vita normale e serena. Non possiamo più parlare di sfortuna, perché dopo 7 anni di sofferenze e operazioni questo vorrebbe dire prendere in giro non solo i tifosi, ma il ragazzo stesso. I consigli migliori non sono le parole che vogliamo sentirci dire, ma le parole che abbiamo bisogno davvero di ascoltare, e in questo momento bisogna consigliare a Giuseppe di concludere la sua carriera professionale sul campo.
Continuare a parlare di sfortuna significa chiudere in un cassetto parole e avvertimenti di medici, professionisti e specialisti, che da anni a questa parte stanno facendo di tutto per impedire che il ragazzo prosegua. Non è sfortuna, è una triste realtà dei fatti che però non può essere negata e nascosta se è determinante del destino e della vita di un uomo, un atleta, che ha già sofferto abbastanza.